Gli agricoltori olandesi non ci stanno e dicono no alle misure che il governo olandese guidato da Mark Rutte ha intenzione di varare per ridurre le emissioni di gas serra del 50% entro il 2030. E lo hanno fatto scendendo in 10mila in piazza e sfilando per il centro dell’Aia, la città in cui ha sede il governo dell’Olanda. Alla manifestazione, organizzata dalle sigle Farmers Defence Force (Fdf) e Samen voor Nederland (Insieme per i Paesi Bassi) a pochi giorni dalle elezioni regionali, hanno preso parte anche numerosi trattoristi che sabato 11 marzo hanno paralizzato il traffico al di fuori delle principali città del Paese, visto che i centri storici erano stati blindati dalle forze dell’ordine, per evitare gli ingorghi che iniziative simili avevano causato in Belgio.

Al centro del malcontento, che da mesi vede gli agricoltori olandesi sul piede di guerra (come i colleghi belgi), una misura che potrebbe essere approvata dall’esecutivo olandese e che vedrebbe l’acuirsi degli oneri finanziari per tutti gli agricoltori che fanno ricorso a fertilizzanti e reflussi zootecnici (ovvero la larghissima maggioranza), ritenuti tra i principali responsabili delle emissioni di gas serra, tra cui spicca l’azoto. A preoccupare gli allevatori olandesi, poi, la possibilità di incappare in espropri forzati di terreno, in conseguenza delle misure che potrebbero portare alle riduzione delle mandrie (in campo aperto) e agli allevamenti, nel paese che è il primo esportatore di carne in Unione Europea e tra i primi posti al mondo.

In segno di protesta numerosi agricoltori si sono presentati con la bandiera nazionale capovolta e frasi critiche esposte sui trattori e sui cartelloni per strada. “Niente agricoltori, niente cibo” si leggeva su alcuni essi. Un monito, certo. E anche un serio problema che l’intera Unione Europea potrebbe trovarsi a fronteggiare nei prossimi anni.

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