In Francia, come in tutto il resto dell’Europa, le industrie meccaniche pensarono a come diversificare la produzione bellica già nel pieno del primo conflitto mondiale. La meccanizzazione delle campagne era agli albori nel Vecchio continente mentre si stava affermando con decisione negli Stati Uniti. La Société Gnome et Rhone durante la guerra sfornò un gran numero di motori per aerei militari, ma la sua attività verteva sulla produzione di attrezzi agricoli, motori elettrici, gruppi elettrogeni e refrigeranti. Per un anno costruì anche un’automobile per l’Hispano-Suiza e tanti motori a combustione interna su licenza. Dall’alto dell’esperienza acquisita, nel 1918 presentò il suo primo e unico trattore, chiamato Auror.

Auror, ritorno al futuro: un trattore atipico ma pioneristico

Non si trattava di certo di un mezzo convenzionale, si presentava con quattro ruote isodiametriche motrici e sterzanti, gli assali erano sospesi con balestre a lamina e il posto di guida era reversibile per poter operare con l’attacco attrezzi anteriore o posteriore. All’uopo il cambio a tre marce era dotato di inversore e il trattore poteva raggiungere i 14 chilometri all’ora su strada. I ramponi delle ruote erano amovibili proprio per consentire spostamenti senza rovinare il terreno.

Uno dei tre esemplari sopravvissuti e restaurati

Un’anima grintosa ma una storia complicata

Il mezzo, compatto e pesante solo 1.300 chili, era spinto da un quattro cilindri a benzina Ballot erogante 20 cavalli in alternativa a un pari potenza Gnome. Nel 1919, con lievi modifiche, venne messo sul mercato al prezzo di 12 mila franchi attacchi attrezzi compresi. Una quotazione certamente giustificata dai contenuti del trattore ma inevitabilmente più alta di quelli di altri mezzi come il Fordson F del 1917 o il Fiat 702 del 1918.

All’inizio partì bene ma la situazione si ingarbugliò a causa della limitata capacità produttiva dell’ azienda, gli ordini del 1919 vennero evasi solo negli anni successivi e, a causa dell’inflazione galoppante, il prezzo arrivò a sfiorare i 19 mila franchi. La Casa transalpina fu costretta a gettare la spugna nel 1925 dopo aver prodotto 150 Auror. Gli esemplari sopravissuti, sfuggiti alle fonderie e restaurati dai collezionisti, sono solo tre.

Gli Auror italiani

Nel 1917 l’ingegner Ugo Pavesi presentò il suo rivoluzionario P4 a quattro ruote isodiametriche e motrici con articolazione centrale. Decenni dopo, nel 1951, la Calzolari di Reggio Emilia presentò il TC 15, simile all’Auror, con ruote di eguali dimensioni traenti e sterzanti.

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