Era già ampiamente prevedibile soltanto osservando le criticità che hanno colpito l’agricoltura nazionale, tra crollo delle semine tradizionali (come mais e grano duro) prosciugamento dei più importanti corsi d’acqua e scarsità di precipitazioni, ma ora la conferma è ufficiale: quello appena trascorso è stato il secondo inverno più caldo mai registrato in Europa, con una temperatura che ha superato di 1,44°C la media della stagione 1991-2020. La doccia ‘gelata’ arriva sistema europeo Copernicus Climate Change Service (C3S) che rilasciato i dati climatici sul periodo appena trascorso – rielaborati dalla Coldiretti – mettendo in evidenza non poche anomalie in tutti i paesi europei, acuite dalla siccità.

Siccità, un inverno senza precedenti

I valori delle temperature sono risultati molto più alti rispetto alla media nell’Europa orientale e nel nord dei paesi nordici ma anche in quelli del Mediterraneo. Una situazione che è stata accompagnata da scarse precipitazioni con l’allarme siccità esteso a tutta Europa. Una situazione che impatta sulle produzioni agricole come in Francia, dove con le alte temperature, come riportato dalla Coldiretti, crescono le difficoltà per le produzioni di fiori da destinare ai raffinati profumi, alla Spagna dove per la mancanza di precipitazioni non ci sono le ghiande per alimentare i maiali destinati al prelibato Pata negra.

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Ma a soffrire sono anche le esportazioni di ortofrutta. La stagione nel suo complesso è stata anche notevolmente più calda della media nell’est degli Stati Uniti, su gran parte del Canada orientale, dell’Alaska, dell’Africa settentrionale, del Medio Oriente, dell’Asia centrale, del Sud America meridionale e di parti dell’Antartide. In Argentina si registra una preoccupante siccità che rischia di dimezzare i raccolti di soia e mais con un pesante impatto sul commercio internazionale.

Criticità anche in Italia

Un allarme che riguarda anche l’Italia dove la mancanza d’acqua rischia di aggravare la dipendenza dall’estero di componenti fondamentali per la dieta degli animali di allevamento. Sono circa 300mila le imprese agricole che si trovano soprattutto le aree del Centro Nord con la situazione più drammatica che si registra nel bacino della Pianura Padana, che ospita più di un terzo dell’agroalimentare nazionale ed è sede di alcuni tra i più prestigiosi marchi in Italia legati al mondo del cibo. Un’area dove si trovano anche più della metà degli allevamenti nostrani.

Dalla disponibilità idrica, avvia la sigla agricola, dipende la produzione degli alimenti base della dieta mediterranea, dal grano duro per la pasta alla salsa di pomodoro, dalla frutta alla verdura fino al mais per alimentare gli animali per la produzione dei grandi formaggi come Parmigiano reggiano e il Grana Padano ed i salumi più prestigiosi come il prosciutto di Parma o il Culatello di Zibello. Senza parlare del riso le cui previsioni di semina prevedono un taglio di 8mila ettari e risultano al minimo da 30 anni.

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