Carraro Agricube 90. La fama di Carraro Agritalia è superiore fra i costruttori di trattori più che tra gli agricoltori. Forse, addirittura, molti di questi ultimi neanche sanno che il loro trattore “americano” o “tedesco” è in realtà prodotto a Rovigo da un’azienda italiana. Già, perché Agritalia nasce negli anni settanta proprio con la precisa strategia di produrre trattori aziendali e e specializzati per altri brand, che per svariati motivi non hanno una propria gamma competitiva in queste fasce di mercato. Praticamente quasi tutti i principali marchi stranieri negli anni hanno tentato di conquistare il mercato italiano, dove i grossi numeri si fanno nella fascia di potenza compresa tra i 70cv e i 100 cv.

Nel 2012 uscivano dagli stabilimenti i Claas Nexos ed Elios, i John Deere 5G e i Massey Ferguson 3600, ma prima dell’acquisizione da parte di New Holland e Same, anche gli specializzati di Case IH e Deutz-Fahr erano prodotti qui. Con l’intento di sfruttare al massimo la proprio produttiva, Carraro Agritalia aveva deciso di lanciare col proprio marchio la gamma Agricube con caratteristiche specifiche per il mercato italiano, dove attualmente può contare su una quindicina di concessionari. Il Carraro Agricube 90 di questa prova è il più potente dei tre modelli aziendali leggeri, ai quali si aggiungono 4 frutteti, 4 vigneti larghi e 2 vigneti stretti.

La meccanica del Carraro Agricube 90. Leggero ma potente

Erano quattro le versioni del Carraro Agricube 90 disponibili nel listino Carraro. La differenza la fa la trasmissione, che può essere tutta meccanica a 12 o 24 marce, con inversore meccanico (come nel trattore in prova), oppure con inversore e hi-lo entrambi ad innesto elettroidraulico sotto carico. Il cambio dunque è a rapporti sincronizzati, mentre le gamme sono tre, per i complessivi 12 rapporti sdoppiabili meccanicamente o idraulicamente.

La leva delle marce era situata letteralmente a destra, coi due pulsanti dell’hi-lo elettroidraulico posti sul pomello in maniera da poter essere azionati col pollice, mentre la leva delle gamme, più corta e posizionata a fianco più in basso. La leva dell’inversore meccanico era invece tipicamente inserita sul cruscotto alla sinistra del volante.

Insomma una concezione molto classica e intuitiva, che garantisce un funzionamento affidabile ed economico, con bassi assorbimenti di potenza. La leva delle marce molto lunga non era il top in fatto di ergonomia, ma gli innesti risultavano comunque facili e abbastanza fluidi. Unita al motore con funzione strutturale, questa trasmissione consente di viaggiare alla velocità minima di 0,5 chilometri orari fino ai canonici 40.

Quattro cilindri nello spazio di tre

Praticamente l’unica parte del trattore che non veniva realizzata negli stabilimenti di Rovigo era il motore, che tuttavia era anch’esso un Made in Italy in quanto prodotto da Fpt. Si trattava infatti del compatto F5C, il quattro cilindri con canna da 800 centimetri cubi che aveva sostituito il 3 cilindri Nef nel passaggio al Tier III. Con 3,2 litri di cilindrata era il più piccolo tra i competitor di pari potenza e ben si adatta per essere impiegato su aziendali leggeri o trattori da frutteto e vigneto. Sull’Agricube 90 era tarato 88 cavalli di potenza massima, con una coppia di 36 chilogrammetri a 1.300 giri.

Lo stesso motore è montato anche sui due modelli meno potenti, il 70 e l’80, che si fermano rispettivamente a 72 e 77 cavalli. Il motore è sovralimentato con turbo a geometria fissa Mitsubishi ed è equipaggiato con l’intercooler, mentre per il ricircolo dei gas di scarico (adottato per abbattere gli NOx) utilizza un Egr interno che a bassi carichi, quando non è indispensabile, si attiva automaticamente.

Buona la capacità del serbatoio del gasolio da 70 litri, che consentiva un’autonomia teorica in potenza di quasi 4 ore. Il sollevatore posteriore con attacco a tre punti di categoria 2 è in grado di alzare fino a 2.600 chili (con l’opzioni per arrivare anche a 3.000). C’era poi la possibilità di avere anche il sollevatore anteriore di categoria 2 con capacità di 1.300 kg. I distributori posteriori erano tre, tutti a singolo e doppio effetto (solo 2 sono standard) con sei uscite. Più che adeguato alle necessità, il sistema idraulico prevede due pompe, quella principale da 61,2 litri e quella dei servizi da 24,8 per complessivi 86 litri.

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La cabina. Classica e funzionale. Buona la visibilità

A parte il fatto che il design della cabina era molto piacevole ed elegante, come del resto lo stile della carrozzeria, c’erano alcuni aspetti legati al comfort che sarebbero potuti essere migliorati. Innanzitutto il tunnel centrale che alloggiava la trasmissione è parecchio pronunciato, e costringe l’operatore a mantenere le gambe molto larghe per poter azionare i pedali del freno e della frizione, il che alla lunga può risultare stancante. Sicuramente è un prezzo da pagare per mantenere contenuti gli ingombri e l’altezza del trattore, che così può più facilmente accedere nei fabbricati chiusi, ma la soluzione piatta che la stessa Carraro fornisce a Massey Fersugon per i 3600 era indubbiamente più confortevole.

La disposizione delle leve era molto classica e i comandi principali sono disposti in modo logico e intuitivo. La strumentazione era essenziale e anche se il cruscotto analogico non brillava per modernità, le scelte adottate sono semplici da approcciare e il feeling di guida si instaura immediatamente. Del resto l’Agricube 90, leggero e compatto, offriva essenzialmente robustezza, economicità di gestione e prestazioni all’altezza delle aspettative per tutti i lavori richiesti da un utility, sia sul campo che su strada, senza proporre sofisticazioni superflue e costose.

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