“Un successo”: la sigla Cia-Agricoltori non ha esitato a definire così l’esordio della raccolta firme indetta sul sito change.org per lanciare un grido d’allarme alle istituzioni sulle conseguenze nefaste che il crollo del prezzo del grano sta avendo sul settore. La petizione nazionale “salva grano Made in Italy” ha infatti raggiunto quota 50 mila firme. Vi hanno aderito cittadini, produttori ed enti pubblici, spaventati dagli effetti che nelle ultime settimane la caduta del 40% del prezzo del grano ha avuto sulle loro realtà. Il tutto a fronte di un aumento vertiginoso del costo della pasta nei supermercati, schizzato a una media del +30% da inizio giugno.

Una situazione che quindi, all’aumento spropositato del costo del prodotto lavorato nella fase finale della filiera agroalimentare, vede una contrazione corposa dei margini delle aziende agricole. In tal senso, l’esempio citato da Cia-Agricoltori Italiani è emblematico. Infatti, se per coltivare il grano duro ci vogliono circa 1.400 euro per ettaro con le quotazioni attuali, i produttori non riescono nemmeno a coprire le spese perché sono costretti a vendere a 1.100 euro per ettaro (-300 euro).

Grano, i rischi per il comparto italiano

Una situazione che, di fatto, apre le porte alla concorrenza sleale dei paesi dove il grano duro viene prodotto senza il rispetto delle stringenti norme produttive e fitosanitarie che, invece, sono presenti nel nostro Paese. Norme da seguire in modo ferreo che, ovviamente, fanno lievitare il costo da parte degli agricoltori. Che ora non ci stanno più dentro. Per questo è stato indetta la petizione, in modo da portare avanti “una battaglia coesa e determinata a difendere il settore dalla crisi inaccettabile dei prezzi e dai ripetuti attacchi speculativi, oggi pronta ad arrivare sul tavolo delle istituzioni per chiedere interventi immediati e concreti a tutela del grano e della pasta tricolore”.

In un Paese come il nostro che resta primo produttore di grano duro in Europa con circa 1,2 milioni di ettari impegnati e che, per Cia, non può assolutamente rischiare di mettere a repentaglio le produzioni nazionali (mentre l’Italia resta, comunque, il secondo importatore al mondo). Che la situazione si stesse scaldando, d’altronde, lo avevano già messo in evidenza le proteste degli agricoltori baresi al porto del capoluogo pugliese lo scorso 7 giugno.

Il commento

“La nostra petizione è più di una battaglia per il grano, è un’azione nazionale, a difesa di un prodotto cardine dell’agroalimentare italiano, che interpreta quella che è la più grande sfida per il futuro di tutta la nostra agricoltura -commenta il presidente nazionale di Cia, Cristiano Fini-. Questo perché affronta tre questioni cruciali: lo squilibrio lungo la catena del valore che penalizza gli agricoltori, il conseguente abbandono delle coltivazioni, a causa degli alti costi di produzione, e il rischio per la sicurezza e la sovranità alimentare.

“Andremo avanti con la mobilitazione, il riscontro che sta ottenendo è un messaggio chiaro al governo di cui Cia si farà portavoce, sollecitando maggiori controlli sull’etichettatura, l’istituzione della Cun del grano duro per una maggiore trasparenza dei prezzi, il potenziamento dei contratti di filiera tra agricoltori e industria e l’avvio immediato Registro Telematico dei Cereali”.

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