Si scaldano i toni sulla PAC, la Politica Agricola Comune, ritenuta da più parti inadeguata per le esigenze in costante mutamento del settore primario italiano e di tutta l’Unione Europea. Al centro del dibattito, tra i vari punti salienti, la riduzione degli aiuti diretti agli agricoltori che, per la sigla degli agromeccanici Uncai, è stata stabilita nonostante l’aumento fuori controllo dei prezzi all’origine e i cambiamenti climatici. Non è stata apprezzata nemmeno la brusca introduzione di vincoli ambientali in netto contrasto con l’obiettivo di produrre in quantità cibo sano.

Insomma, una situazione complessa che ha spinto un sigla di primo piano del settore come Confagricoltura a redigere un documento dettagliato, presentato direttamente alle istituzioni, nel quale sostanzialmente è stato chiesto un ripensamento radicale di tutta la PAC. Un manifesto sottoscritto nella sua interezza anche da Uncai.

“Non scopriamo oggi l’inadeguatezza di questa Pac”, ha esordito il presidente Uncai Aproniano Tassinari. “Abbiamo partecipato attivamente a tutti gli incontri preparatori voluti dall’ex ministro Stefano Patuanelli. Confagricoltura e Uncai hanno sempre denunciato come la Pac stesse diventando un macchinoso impianto in contrasto con l’articolo 39 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea che detta le cinque finalità della politica agricola comune ossia incrementare la produttività, assicurare un tenore di vita equo alla popolazione agricola, stabilizzare i mercati, garantire la sicurezza degli approvvigionamenti e assicurare prezzi ragionevoli ai consumatori”.

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“Era ed è sbagliato estendere in modo indifferenziato a tutti gli agricoltori europei le misure agronomiche relative al regime di rotazione agraria e all’esclusione di una parte della superficie dalla coltivazione perché sono molto diversi gli ambienti pedoclimatici e agronomici del Nord Europa e dell’area Mediterranea. E occorreva incentivare dove ci sono i maggiori problemi di conservazione del suolo”.

La competitività delle imprese richiede processi produttivi più sostenibili economicamente. Occorre quindi ripensare il sostegno alla diffusione delle innovazioni tenendo conto del contributo dei contoterzisti professionisti. “Lo sforzo europeo per lo sviluppo dell’innovazione in agricoltura presta il fianco ad alcune obiezioni”, prosegue il presidente Tassinari: “Le stime indicano come i benefici delle innovazioni finanziate dalla Unione vadano solo al 5% degli agricoltori europei, quelli con aziende più grandi e con mezzi finanziari necessari a mettere in pratica i cambiamenti, mentre gli agricoltori più deboli ne rimangono esclusi”.

L’innovazione, dall’agricoltura di precisione a quella conservativa e rigenerativa, non si scarica a terra senza un approccio distribuito: ha bisogno di notevoli investimenti e non solo economici, ma anche e soprattutto culturali, che difficilmente agricoltori con poche disponibilità sia economiche sia di tempo da dedicare alla formazione e aggiornamento riescono ad acquisire.

“Se non è per tutti – chiosa Tassinari – l’innovazione non è vero progresso: ogni agromeccanico può lavorare migliaia di ettari ogni anno per conto di piccoli e medi agricoltori con vantaggi economici e ambientali che oltrepassano i confini della singola azienda agricola raggiungendo un’intera comunità. Rivediamo dunque la Pac, con buona pace per chi ha dedicato mesi di lavoro a quella attuale. Non si tiene in piedi un ponte che crolla. Anziché per l’acquisto di macchinari, ai piccoli e medi agricoltori occorrono incentivi per il ricorso a servizi agromeccanici professionali svolti non in modo occasionale, ma da aziende iscritte a un Albo, all’albo degli agromeccanici”.

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