Un grosso buco nell’acqua: è questa la fine che la tanto chiacchierata “Opzione Donna” rischia di fare senza l’apporto di misure correttive da parte delle istituzioni, per limarne le storture. A lanciare l’allarme sugli effetti della nuova misura per il regime pensionistico agevolato (entrata in vigore con nuove modifiche dopo l’approvazione delle Legge di Bilancio 2023) è stata la sigla Donne in Campo-Cia, la sigla che fa parte dell’associazione di categoria Cia-Agricoltori Italiani. In sostanza, a partire dal 1° febbraio, la misura “Opzione Donna”, più che agevolare la pensione delle lavoratrici, l’ha ostacolata, restringendo la platea delle beneficiarie, imponendo addirittura la rinuncia al 30% dell’assegno contributivo, con un impatto negativo sulle condizioni di tanti famiglie.

In base ai dati rilasciati da Donne in campo-CIA, le lavoratrici che potevano andare in pensione anticipatamente ma non hanno potuto farlo per le nuove limitazioni sarebbero state ben 40 mila (ora esodate), a fronte di 2.500 donne che nel 2023 rispecchiano i requisiti per la nuova pensione anticipata e che sono anche costrette a rinunciare fino a un terzo dell’assegno con il ricalcolo contributivo.

Opzione Donna, i rischi per il 2023 secondo CIA

Mentre fino alla fine del 2022 le donne potevano andare in pensione a 58 anni, indipendentemente dal numero dei figli, grazie al ricalcolo contributivo, oggi possono andare in pensione prima dei 67 anni solo le donne che assistono il coniuge o un parente di primo grado convivente con handicap in situazione di gravità, se si ha un’invalidità almeno al 74%. “Opzione Donna”, alternativamente, può essere utilizzata da persone licenziate o dipendenti da imprese per le quali è attivo un tavolo di confronto per la gestione della crisi aziendale presso la struttura per la crisi d’impresa.

Oltre a questi requisiti, bisogna avere almeno 35 anni di contributi maturati. A quel punto si può andare in pensione anticipata a 60 anni. L’età può abbassarsi se si ha un figlio (a 59 anni) o due (a 58). Per tutte le donne coinvolte, poi, la pensione viene ricalcolata con il sistema contributivo e il taglio dell’assegno, rispetto a quello misto contributivo-retributivo, può arrivare anche al 30%.

I commenti

“La questione torni al tavolo del Ministro Calderone per correttivi immediati che possano riequilibrare le storture emerse” tuonano i rappresentanti del Patronato Inac-Cia, Alessandro Mastrocinque, e dell’Associazione Donne in Campo-Cia, Pina Terenzi. “Dall’apertura dello sportello del 1 febbraio scorso per la presentazione delle domande, come predisposto dall’Inps, registriamo una sostanziale assenza di possibili beneficiarie” sottolinea il presidente del Patronato Inac-Cia, Alessandro Mastrocinque. Le stime che riguardano la platea coinvolta nelle uscite di quest’anno è veramente risibile: appena 3 mila per il Governo”.

“Si tratta di una manovra tesa soltanto a fare cassa, e a rinviare l’uscita dal mondo del lavoro – aggiunge Mastrocinque -. Con questi parametri è stato acclarato un dato demoscopico, che misura il numero delle donne con figli che deve occuparsi dell’assistenza di un parente, di donne che hanno una invalidità riconosciuta importante, oppure di lavoratrici soggette a licenziamento. Il collo dell’imbuto troppo stretto non consente di guardare alla realtà del Paese e alle vere condizioni in cui vivono le famiglie oggi”.

L’associazione Donne in Campo-Cia sottolinea il paradosso che la misura acclara: “Consentire alle donne di anticipare l’uscita pensionistica, riconoscendone l’importante ruolo di caregiver, per poi tagliare l’assegno del 30% è un atteggiamento gravemente vessatorio nei confronti di una parte del Paese indispensabile per la tenuta sociale – commenta la presidente Pina Terenzi -. Così come si è rivelata discriminante tra chi ha figli e chi no. È ora di rivedere questa misura e renderla praticabile per tutte le donne”.

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