Pasquali Mars 7.80 AR. Se dovessimo cimentarsi nel classico gioco delle ‘associazioni di idee’, metodo diagnostico tanto caro al mondo della psicologia, sicuramente al solo sillabare del nome Bcs la mente correrebbe al settore della fienagione. E siamo convinti che il gioco funzionerebbe benissimo anche il contrario. In realtà, come aveva messo in evidenza la nostra prova del 2002, l’azienda di Abbiategrasso si era spinta ben oltre, imponendo il nome Bcs come sinonimo di una particolare tecnica di sfalcio: la barra falciante. Ma questa era già storia. Il presente (di inizio millennio) era quello di un grande gruppo industriale capace di produrre e soprattutto vendere più di mille trattori all’anno, segnando nel 2001 un bel +25% rispetto al 2000, rosicchiando anche importanti quote di mercato ai suoi diretti concorrenti.

Successi e novità di un 2001 da ricordare. E poi arrivò anche lui, il Pasquali Mars 7.80 AR

I tre marchi che componevano il Gruppo (BCS, Ferrari e Pasquali) sembravano scatenare quelle sinergie e complementarietà alla base del successo di questi ultimi anni. Numerose le novità in campo trattoristico in occasione dell’edizione di Eima di quell’anno, dove spiccava il Pasquali Mars AR 7.80, un 68 cavali isodiametrico, articolato e reversibile. Caratteristiche che, unite a un baricentro molto basso e a un raggio di sterzo contenuto, proiettavano questo trattore direttamente tra i filari di un frutteto o di un vigneto, ambiti dove dà il meglio di sé.

La meccanica. Potenza e aderenza i punti di forza. L’articolazione esaltava la manovrabilità

Sobrio ed equilibrato: sembrano essere questi gli aggettivi che meglio di tutti rispecchiavano il look del Mars. Le linee si presentavano infatti morbide e arrotondate, capaci di smussare quel gusto leggermente retrò che il motore a sbalzo riusciva sempre ad imporre all’architettura generale di un trattore.

Una volta aperto il cofano ribaltabile, ci si trovava davanti il propulsore D 754 E 1 prodotto dalla Vm, un 4 cilindri aspirato da 68 cavalli a 2.600 giri, raffreddato ad acqua. Un motore particolarmente vivace, che rispondeva prontamente ai colpi di acceleratore dimostrando un carattere vitale e una rumorosità contenuta. Si era però riscontrata un’eccessiva vibrazione della carrozzeria, vibrazione che si propagava sino al posto guida e che alla lunga avrebbe potuto in qualche modo infastidire. Sfumature al cospetto delle qualità di questa unità che vedeva nei bassi consumi e nell’affidabilità i suoi veri plus.

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In tandem con il propulsore Vm era prevista una trasmissione a 32 velocità (16 più 16), basata su 4 gamme e 4 marce con inversore sincronizzato, un cambio equilibrato che ben si adattava a qualsiasi situazione operativa. Avanzando nei rapporti si aveva l’impressione che le ruote mordessero letteralmente il terreno, esaltando il ‘grip’ aggressivo di questa macchina che non aveva nessuna intenzione di mollare la presa, fondamentale caratteristica per lavorare con disinvoltura anche sui pendii.

L’innesto delle marce era molto fluido, preciso e intuitivo e lo stesso giudizio poteva essere allargato anche alla frizione del tipo a dischi multipli in bagno d’olio con comando elettroidraulico. La trasmissione era letteralmente affogata all’interno del telaio, soluzione tecnica innovativa che garantiva un’elevata luce libera da terra e un baricentro comunque basso; inoltre il trasferimento diretto del moto all’interno della scatola di trasmissione consentiva di ridurre le perdite di potenza e diminuiva gli interventi di manutenzione sugli organi di trasmissione.

La scelta di Pasquali per la trasmissione si è diretta verso il classico quattro per quattro che però è permanente, non è cioè prevista la possibilità di disinnesto. L’impianto idraulico era costituito da pompe dedicate a doppio circuito, uno per lo sterzo e l’altro per il sollevatore e le prese idrauliche La versione standard prevedeva un distributore a semplice effetto e due distributori a doppio effetto con aggancio in mandata e ritorno libero.

La portata massima era di 45 litri al minuto con una pressione di esercizio di 80 bar. Il sollevatore posteriore da 2.300 kg era costituito da un monogruppo a due cilindri verticali con attacco a tre punti di categoria 1 e 2, e bracci inferiori ad attacco rapido. Il Mars 7.80 AR era equipaggiato con una presa di forza indipendente da 540 e 1000 giri con freno nella posizione disinserita e sincronizzata, proporzionale con tutte le velocità del cambio.

Guidare questo trattore nella nostra prova era stato un vero piacere. Lo sterzo a doppio martinetto servoassistito era docile e sempre pronto, assicurando in ogni occasione manovre precise. E non c’erano problemi per il controllo delle traiettorie visto che il pilota era praticamente seduto in mezzo alle ruote e quindi poteva benissimo vedere dove andava a ‘mettere i pneumatici’.

Essendo un trattore articolato, il raggio di volta si presentava estremamente contenuto, nell’ordine dei 5.500 mm, valore che sommato a una carreggiata estremamente contenuta, 1.020 mm, conferiva al Mars 7.80 Ar la capacità di muoversi con disinvoltura in tutti gli spazi ristretti scoscesi e sconnessi. Non era comunque il classico trattorino da montagna ce su asfalto si muoveva in maniera lenta e impacciata. Qui, una volta innestate la quarta marcia e la quarta gamma, bisognava allacciarsi le cinture poiché il Mars arrivava alla velocità di 40 km/h

L’inversore di guida si presentava semplice e veloce e non richiedeva l’ausilio di nessun attrezzo. Alla base del sedile era posto il piccolo comando di colore arancione che sganciava la piattaforma di guida, libera così dal ruotare di 180 gradi e agganciarsi facilmente sull’altro lato del trattore senza intervenire su nessuna connessione. Cronometro alla mano: 5 secondi, un vero record.

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