Anche se la divisione agromeccanica della White, una delle aziende automotive americane più importanti del Novecento, è conosciuta soprattutto per alcuni iconici (e potentissimi) modelli usciti tra gli anni ’70 e ’80, la sua storia nasce dalla fusione di tre diversi produttori con la casa madre qualche anno prima. Fusioni che avvennero in tempi e con modalità diverse ma che, nel giro di dieci anni, diedero vita a uno dei più grandi gruppi agromeccanici a stelle e strisce.

La White Motor, attiva sin dal Novecento nel mondo automotive decise di entrare in questo segmento nei primi anni ’60: la strategia consisteva nell’acquisire, passo dopo passo, società più piccole ma attive in questo campo. Come, per esempio, la Oliver. Un’acquisizione a cui seguì quella della Cockshutt Farm Equipment Company e, poi, quella della Minneapolis Moline.

La White Motor mantenne i nomi delle tre società fino al 1969: i trattori prodotti continuarono ad arrivare sul mercato col nome del produttore originale. La Oliver, per esempio, proseguì per molti anni dopo a fabbricare il modello 55, di grande successo, la Cockshutt con il modello 20 (introdotto nel 1952, aveva un motore piatto Continental da 2,3 litri, 4 cilindri con trasmissione a quattro velocità).

Tutto, però, cambio alla fine degli anni ’60 con la creazione della White Farm Equipment Company, con sede a Cleveland in Ohio. Dopo un primo periodo in cui le aziende parte del brand continuarono a scambiarsi componenti e know-how nelle costruzione dei trattori (non mancarono le critiche da parte degli appassionati), a partire dal 1974 tutte le macchine prodotte dal gruppo iniziarono a usare il nome White.

Il Plainsman a trazione integrale, venduto negli USA come Minneapolis-Moline e in Canada come White

I convulsi anni ’70 della White Motor. E poi la crisi

Il primo trattore uscito dalle linee produttive a nome White era il 4-150 Field Boss, alimentato da un rombante motore Caterpillar V8 da 150 cv e ottimizzate per compiere angoli di manovra inauditi all’epoca. Si trattava, in sostanza, del punto di arrivo delle sinergie di Oliver, Minneapolis-Moline e della stessa White, finalmente confluite in unico brand. A questo primo modello seguì il 4-180 Field Boss da 180 cv, trazione integrale e con alcune chicche di assoluto rilievo per l’epoca (era il 1975): l’aria condizionata e una cabina con protezione antiribaltamente, antesignana di quelle che poi sarebbero diventate lo standard per la sicurezza in agricoltura. La gamma “Boss” fu completata nel 1978 con l’arrivo della potente 4-210 da 210 cv, dotata anche di tecnologie per ridurre il rumore in cabina, display di controllo a 14 canali e fanali collocati in cima alla mascherina.

Tra la fine degli anni ’70 e i primi anni ’80, dopo una serie di vicissitudini industriali (con mancate fusioni) e finanziarie che la penalizzarono soprattutto dal lato dei veicoli commerciali, la White fu costretta dichiarare istanza di fallimento. Il colosso fu rilevato dalla TIC Investment Corporation di Dallas che, nel 1981, riprese la produzione e diede un nuovo nome al brand: WFE, ovvero White Farm Equipment. Nel 1982 arrivarono i primi due trattori del nuovo brand: il 4-225 da 225 cv e il 4-270.

Quest’ultimo, in particolare, presentava gli pneumatici più grandi tra le gamme del brand e un telaio articolato più largo del fratello minore, con cofano e mascherina più ampi. Il motore era sempre il Caterpillar V8 tanto caro alla White, ma la trasmissione, almeno per la 4-270 era nuovissima 4×4. Alla fine degli ‘anni 80 la società fu travolta da nuovi problemi finanziari: la TCI cedette la società alla Allied Products. Da quel momento divenne nota come White-New Idea. In seguito entrò nell’orbita della AGCO e il marchio rimase in vita fino al 2002 quando venne definitivamente inglobato all’interno dei prodotti del colosso automotive.

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