Nonostante l’incremento della domanda di macchine agricole, galoppante durante tutto il 2021 e molto alta anche in questo inizio di 2022, il rincaro senza freni dei costi energetici (aggravato dalla guerra in Ucraina) e la difficoltà nell’approvvigionamento di materie prime (che persiste ancora per il settore agromeccanico), rischiano seriamente di frenare la produzione industriale italiana, ponendo le condizioni di possibili aggravi sul costo finale dei macchinari. A lanciare l’allarme è stata FederUnacoma all’interno del contesto di Fieragricola 2022, durante la conferenza tenuta alla presenza di giornalisti e addetti di settore.

Macchine agricole, il ruolo decisivo degli incentivi

Il mercato delle macchine agricole può avvalersi di incentivi pubblici molteplici e cumulabili fra loro – ha detto in conferenza il presidente di FederUnacoma Alessandro Malavolti – e questo dovrebbe incoraggiare gli investimenti da parte delle imprese primarie. Nello stesso anno saranno infatti accessibili il Credito d’imposta per il 4.0, i finanziamenti per i PSR, la Legge Sabatini, il Bando ISI-Inail e il PNRR. Il 4.0 sarà finanziato per il 2022 secondo gli stessi parametri dell’anno scorso – ha spiegato Malavolti – con credo d’imposta al 40% del costo per investimenti fino a 2,5 milioni di euro, e credito al 20% e al 10% rispettivamente per le fasce d’investimento fino a 10 e fino a 20 milioni di euro.

Per quanto riguarda i PSR (Piani di Sviluppo Rurale), il 2022 beneficia di risorse aggiuntive, in attesa che inizi nel 2023 il nuovo settennato, che vedrà il passaggio dell’attuale gestione regionale ad una gestione centralizzata a livello nazionale con una maggiore efficienza nell’amministrazione delle risorse. La Legge Sabatini per il finanziamento bancario dei beni strumentali, il Bando ISI-Inail per l’acquisto di mezzi con elevati standard di sicurezza e il Piano Nazionale Ripresa e Resilienza, che dovrebbe entrare a regime, completano la rosa di opportunità per il settore agromeccanico. Se il settore agricolo sembra ben supportato per l’acquisto dei mezzi – questo è stato evidenziato nel corso della conferenza – è la parte industriale a mostrare forti criticità, che mettono a rischio la capacità di soddisfare la domanda.

Materie prime, aumenti preoccupanti su tutta la linea

I costi di produzione industriale stanno infatti crescendo in modo impressionante, sia per la voce relativa ai materiali sia per quella relativa all’energia. I prezzi delle commodity industriali hanno raggiunto a maggio scorso il loro massimo incremento da 25 anni a questa parte (+114%), per poi registrare un leggero decremento che vede le quotazioni mantenersi comunque molto alte. Guardando ad alcune materie prime, nel periodo aprile 2020-dicembre 2021 si registrano aumenti dell’89% per il rame, dell’85% per l’alluminio, del 38% per il ferro. Per quanto riguarda le forniture energetiche, l’indice dei prezzi risultava in forte crescita già prima della crisi in Ucraina: a dicembre 2021 +90% rispetto al mese di gennaio, e +1.050% rispetto all’aprile 2020. Guardando alle singole voci, il gas naturale è cresciuto da aprile 2020 a dicembre 2021 del 1.692% (e minaccia di crescere in modo ancora più consistente in conseguenza della crisi con la Russia), mentre il brent incrementa del 218%, e il carbone del 152%.

Mai come in questo momento – ha osservato Malavolti – risulta evidente come l’economia anche in epoca di globalizzazione dei mercati e delle forniture, dipenda dalla localizzazione geografica delle risorse e dalla configurazione delle rotte commerciali. Nell’attuale panorama si deve constatare come la produzione di materie prime sia gestita da pochi Paesi fornitori: l’Unione Europea deve importare il 98% di terre rare dalla Cina, l’87% di litio dall’Australia, il 71% di platino dal Sud America. Complessivamente la Cina è oggi il primo fornitore di materie prime critiche dell’intera Unione Europea, mentre proprio in questi giorni è emerso in tutta la sua gravità il problema delle forniture di gas, in larga misura dipendenti dalla Russia. E’ una situazione che pesa su tutti i settori industriali – ha concluso Malavolti – ma che minaccia in particolare l’industria meccanica, che utilizza in modo preminente materiali ferrosi e polimeri.

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